” Un corridore deve correre con i sogni nel cuore, non con i soldi nel portafogli” ( Emil Zatopek ).
” Ogni strada ha una origine il mio viaggio come maratoneta iniziò sulle dorate colline di Abissinia in quel luogo combattemmo gli invasori fascisti riprendendoci i nostri 5000 anni di storia, si portarono via molte vite e altrettante ricchezze. 28 anni dopo la loro sconfitta rimane soltanto la strada che costruirono e che da casa mi porta in città. Il mio dorato destino romano iniziò su questa strada ma qui ebbe inizio anche la mia ultima corsa verso i giochi olimpici di Monaco “. Così inizia il bel film L’atleta del 2012 sulla vita di Abebe Bikila e da qui proviamo a partire anche noi. Monaco sarebbe stata per lui la partecipazione alla 4^ olimpiade ma proprio sulle strade dove percose migliaia di km di corsa il destino….le disgrazie a volte piombano su coloro che hanno il coraggio, la forza e la volontà di affrontarle. E Abebe di animo ne aveva tanto quanti i sogni che alla fine raggiunse. Nel 1969 a pochi anni da quando gli invincibili piedi nudi solcarono l’arrivo di un lungo viaggio verso la libertà, la vittoria, la storia divenuta leggenda,egli rimase vittima di un incidente d’auto nei pressi di Addis Abeba e rimase paralizzato dal torace in giù, l’incidente privò Abebe proprio di quelle gambe d’oro, ma non certo della grinta che le faceva correre. E così partecipò ad un’altra Olimpiade, questa volta con un “para” davanti,gareggiando nel tiro con l’arco, correndo, anche questa, volta in un modo diverso però. Il suo amore profondo per lo sport lo portò a gareggiare anche nel ping pong e perfino in una corsa di slitte in Norvegia
“Gli uomini di successo incontrano la tragedia. E’ stato il volere di Dio se ho vinto le Olimpiadi, ed è stato il volere di dio a farmi incontrare l’incidente. Ho accettato quelle vittorie come accetto la tragedia. Devo accettare entrambe le circostanze come avvenimenti della vita e vivere felicemente.” ( Abebe Bikila )
Il nome è Bikila ed il cognome Abebe, ma la regola locale per la quale viene citato prima il cognome e poi il nome farà entrare questo personaggio nei libri di storia sportiva ( e non solo ) come ABEBE BIKILA. Figlio di un pastore nacque nel villaggio Amhara di Jato il 7 agosto 1932, quel giorno a Los Angeles si correva la maratona olimpica e non vi erano africani in gara….lavorava come agente di polizia per mantenere la famiglia in seguito entro’ nel corpo delle guardie dell’Imperatore Hailè Selassiè, di sogni nel cuore ne aveva tanti primo fra tutti portare sul tetto del mondo la sua Africa la sua Etipoia.Non basta però ricordare che in terra romana corse e vinse la maratona ai giochi della XVII Olimpiade non basta dire che fu il primo africano di colore ad aggiudicarsi l’oro olimpico; Abebe vinse in un modo tutto suo, un modo che l’ha reso, agli occhi di tutti, simbolo di libertà per quella terra lontana, schiava del colonialismo europeo: correndo 42 km scalzo scalzo senza le comode scarpe fornite dallo sponsor tecnico poiché non gli calzavano comodamente, così 2 ore prima della gara decise, secondo una precisa ” scelta tecnica “concordata con il suo allenatore, lo svrdrse di origini finlandesi Onni Niskanen, di correre scalzo,e pensare che Abebe si ritrovò a far parte della nazionale opimpica etiope come sostituto di Wami Biratu, infortunatosi poco prima della partenza per l’Italia durante una partita di calcio. Ricorda un pò l’impresa di quel Filippide e la sua corsa per annunciare la vittoria ai Greci contro i Persiani. Dopo più di 2000 anni da quell’evento il mondo è tornato a stupirsi di fronte ad un epilogo che ha dell’incredibile. Abebe Bikila non era tra i favoriti: correva nelle competizioni di atletica da soli 4 anni. Nessuno avrebbe mai immaginato che un giovane sconosciuto potesse resistere alla fatica per 2 h 15′ 16″ correndo a piedi nudi, superando per primo l’Arco di Costantino, traguardo dell’edizione romana della maratona olimpica. Il percorso della maratona di Roma superò ogni consuetudine, infatti gli organizzatori fissarono la partenza ai pidi della grande scalea del Campidoglio e appunto l’arrivo all’Arco di Costantino, era la prima volta dal 1896 che la maratona olimpica non terminava nello stadio olimpico. Alla vigilia della gara erano pochissimi quelli che annoveravano Abebe tra i favoriti, nonostante avesse fatto segnare un ottimo tempo nei mesi precedenti. 10 settembre 1960 ore 17.30 si parte…Con indosso la maglia verde col N° 11 Bikila ingaggiò da subito una sfida con un fantasma in carne e ossa! Abebe intendeva tener d’occhio il N° 26, il marocchino Rhadi Ben Abdesselam, che invece partì con il pettorale 185. Colui che divenne ” il maratoneta scalzo ” rimase nel gruppo di testa per tutta la gara, non vedendo mai l’avversario più temuto e pensando che questi fosse più avanti, in realtà anche il marocchino fece sempre parte del gruppo di testa e fu colui che riuscì a resistergli più degli altri, ma Abebe non lo sapeva….alla fine trionfò, estasiato dalle bellezze della città eterna, ormai avvolta dall’oscurità addolcita dalla luce di centinaia di torce piazzate lungo il percorso.
Quattro anni dopo, si presentò in condizioni di forma peggiori alle Olimpiadi di Tokyo; era stato operato di appendicite quaranta giorni prima ma vinse stabilendo la miglior prestazione mondiale sulla distanza ( questa volta con le scarpe ) e per la prima volta un atleta vinse due ori consecutivi nella maratona olimpica ( l’impresa riuscì solo al discusso tedesco orientale Waldemar Cierpinski 1976-1980 ). A Citta del Messico ormai trentaseienne dovette fronteggiare diverse difficoltà dovute all’altitudine, agli infortuni e in generale all’età ormai avanzata e si dovette ritirare l’anno seguente il 69 fu l’anno dell’incidente Abebe corse in carriere quindici maratone vincendone dodici ( 2 ritiri e un 5° posto a Boston nel maggio 1963 ).
Abebe Bikila è morto a causa di una emoraggia cerebrale ad appena 41 anni il 25/10/1973. In suo onore è stato dedicato lo stadio di Addis Abeba; a testimonianza del grande significato simbolico delle imprese di Abebe, sulla sua lapide nel cimitero dove è sepolto, le incisioni sono state scritte in tre lingue, aramaico.italiano e giapponese.
” Se sono libero è perchè continuo a correre ” diceva Jimi Hendrix. Tutti guardando la sfida della vita di quel giovane etiope, hanno sudato, lottato, sognato la libertà che Abebe, apiedi nudi e con un cuore vestito di un sogno, raggiunse.
A voi piacendo alla prossima-Italo-