….ho passato 4 anni e mezzo a braccetto con treni e locomotive, mi pareva naturale ricominciare a scrivere con la ” locomotiva umana “…….
Mi chiamo Emil, sono nato il 19 settembre 1922 a Koprivnice in Moravia (Cecoslovacchia) e questa è la mia storia.
A sedici anni ho iniziato a lavorare in una fabbrica di scarpe (Bata), un giorno l’allenatore sportivo di fabbrica che era severissimo scelse 4 ragazzi incluso me ordinandoci di correre una gara, io protestai ma l’allenatore mi mandò a fare una visita medica, il dottore sentenziòche stavo perfettamente bene, allora corsi e arrivai secondo, così tutto è cominciato…..era il 1941, avevo 19 anni e l’Europa era entrata tragicamente in guerra. Dopo poco tempo da quella prima gara decisi di unirmi alla squadra del mio paese. Le corse nella Cecoslovacchia occupata dai nazisti, la sperimentazione di allenamenti innovativi con ripetute a metà strada tra il fartlek inventato dagli svedesi e l’interval training di moda in Germania alla fine degli anni trenta: la gente mi diceva che ero pazzo perchè mi allenavo come un velocista. Dopo le prime vittorie mi dissero che ero un genio.
Jean Echenoz ha scritto di me nel suo romanzo ” Quella postura inconfondibile durante la corsa: le spalle contorte, il capo leggermente reclinato e la smorfia che sembrava annunciare un tracollo che però non arriva mai. ” I lineamenti sono alterati””come dilaniati da una spaventosa sofferenza …..il corpo sembra un meccanismo scassato….a parte l’armonia delle gambe che mordono e divorano la pista voracemente”. Questioni di stile che non hanno mai attraversato i miei pensieri. “Non avevo tempo per correre e sorridere al tempo stesso” ho ripetuto tante volte. Ero diventato “La LOCOMOTIVA UMANA”. Avevo appena vinto i 5000 alle olimpiadi di Helsinki e quattro giorni prima anche i 10000, mi sentivo bene e fu proprio il mio talento a farmi decidere nel giro di poche ore di correre la prima maratona della mia vita ( un debutto straordinario medaglia d’oro con il tempo di 2h 23′ 03″ la gara si è corsa il 27, il 20 medaglia d’oro nei 10000 il 24 medaglia d’oro nei 5000). alla partenza della maratona i favoriti erano gli inglesi Stan Cox e Jim Peters che aveva stabilito il primato del mondo appena due mesi prima (2h 20′ 42″), gli argentini Reinaldo Gorno e Delfo Cabrera ( campione olimpico in carica ) e lo svedese Gustaf Jansson. Pronti via e Peters scappa e corre i primi 10 km a ritmi da record del mondo ma io e Jansson intorno al quindicesimo lo raggiungiamo…..affianco Peters e gli chiedo se il ritmo non fosse troppo veloce e l’altro mi risponde sprezzante che anzi è troppo basso, detto fatto non avendo esperienza in maratona lo prendo in parola e accelero, i miei due avversari reggono la mia andatura fino al trentesimo km poi resto solo. Entro nello stadio con oltre 2’30” di vantaggio su Gorno che nel frattempo aveva rimontato, il bronzo va a Jansson. non avendo mai corso prima una maratona non mi sono nemmeno preoccupato di fermarmi ai rifornimenti…dopo però per una settimana non sono stato in grado di camminare ma è stata “la crisi più bella della mia vita”.
In seguito ho vinto l’oro agli europei del 54 e ho tentato di difendere il mio titolo olimpico a Melburn nel 56 ma un ernia causata da allenamenti con mia mogli Dana sulle spalle mi ha costretto ad un ricovero di sei settimane in ospedale per essere operato e nonostante che ho ripreso gli allenamenti il giorno dopo le dimissioni non sono riuscito a recuperare la forma in tempo così mi sono classificato 6° la medaglia d’oro è andata al mio amico Alain Mimoun. L’anno dopo a 35 anni ho appeso le scarpette al chiodo.
Nel mio Paese ero considerato un eroe e avevo una certa influenza nel Partito Comunista, tuttavia ero un democratico e questo mio pensare mi portò a sposare gli ideali della “primavera di Praga” 11 anni dopo. Un sogno di libertà e democrazia precursore di quello che sarebbe accaduto in tutta l’europa dell’est alla fine degli anni 80 stroncato dai carri armati sovietici. Ricordo un giorno uno degli studenti aveva tracciato col gesso una svastica sulla torretta del tank russo, il carrista, con il busto fuori, non se ne era nemmeno accorto, concentrato su quanto accadeva nella piazza dove i blindati erano circondati da una folla di praghesi. Era stato lanciato qualche sasso, i più giovani fischiato e urlato, ma non c’era traccia di armi o sentore di violenza e anche quel carrista faticava a capire il motivo di quella missione perchè molti dei militari russi neppure sapevano di essere in Cecoslovacchia pensavano di trovarsi in Ucraina occidentale per una esercitazione, come gli era stato detto dai loro comandanti. Invece erano li per spegnere la “Primavera di Praga” cosa che il carrista apprese da un uomo leggermente stempiato, osannato come un eroe dai giovani della piazza, ero io…..gli spiegai che i praghesi non volevano tradire l’idea socialista, ma rivendicavano il diritto di applicarla con più democrazia e più libertà, il soldato russo mi strinse la mano quasi convinto da ciò che gli avevo spiegato. Ma la primavera da li a poco sarebbe morta sotto i cingolati con la stella rossa. Io e mia moglie Dana Ingrova pagammo a caro prezzo la firma che apposi sul Manifesto delle Duemila Parole che aveva aperto la stagione di Dubceck. Venni espulso dal Partito Comunista e dall’esercito, mandato nelle miniere di uranio di Jachymov, alla frontiera tedesca dove ho vissuto per sei anni in un magazzino prima di tornare a Praga come spazzino…….
“Mi ricordo che una domenica mattina corremmo per venti chilometri nella neve del bosco” ha raccontato Mia moglie Dana a “Sports Illustrated” nel 1990. A metà percorso io crollai sfinita a terra: “Tu vai avanti, lasciami morire qui……disse scherzando rivolta a me. Io presi una corda e gliela legai nei fianchi. Così corsi fino a casa trascinandola nella neve. Alla fine di quella giornata dissi a Dana che mi sentivo stanco. Una volta tanto. Io ero la LOCOMOTIVA UMANA……
Tutto questo è stato liberamente tratto da un racconto di Marco Patucchi…a voi piacendo alla prossima – Italo.